Guardo mia figlia giocare in spiaggia: uccide i germi sulla sabbia battendo con una paletta il suolo. Lo sta facendo da circa un’ora, variando l’intensità dei colpi, inventando sveglie che la fermano, chiedendomi di battere assieme a lei e riempiendo un secchiello di batteri.
Si fanno le cinque, suppongo che Viola possa avere fame. Sto per chiederle se vuole fare merenda. Mi fermo. Penso. Decido che non voglio interrompere quel suo bellissimo fluire di pensieri ed immagini. Decido che è più importante che lei sperimenti la sensazione che suscita il mantenere l’attenzione a lungo sulla stessa attività piuttosto che io irrompa proponendole del cibo. Penso che Viola si stia ora muovendo nel suo “spazio sacro”, in un luogo nel quale può sperimentare la piacevolezza del sentirsi profondamente impegnati in qualcosa. E penso che questo sentirsi completamente assorbiti dal gioco sia l’anticamera della perseveranza adulta.
Quante volte invece mi sono permessa di disturbare la mia bambina per delle sciocchezze?
Certo, ogni tanto mi sono intromessa nel suo spazio perché dovevo assolutamente dirle, in quel momento, quanto l’amavo, oppure perché dovevo mangiarla di baci, proprio in quell’istante, altrimenti sarei scoppiata di troppo amore! Tuttavia, al di fuori di queste irrinunciabili incombenze, spesso non ho avuto la lungimiranza di trattenere incursioni fuori luogo in un momento che dovrebbe invece rimanere quanto più possibile inviolato.
Viola, vuoi pasta o riso questa sera?
Viola, mi dispiace tu non abbia ancora riordinato i giochi!
Amoooreee, ma quanto è bello il castello che hai costruito?
Nella perseveranza dei suoi giochi – spesso sempre gli stessi, giorno dopo giorno, a volte settimane dopo settimane – il bambino vive la bellezza di approfondire la relazione con se stesso, con gli altri e con il mondo attorno.
Credo che rispettare lo “spazio sacro” del piccolo possa giovare alla sua crescita ed alla sua capacità di prestare attenzione focalizzata all’obiettivo.